20 febbraio 2011

Book


  Arrivo a Milano, cammino per le strade immersa nel sole, con il book in mano. Una maglietta bianca, larga e leggera. Shorts e sandali senza tacco. Niente smalto, niente trucco. Incrocio altre come me, la concorrenza. Ci ignoriamo. Mi ricordano troppo quello che sono. Quello che mi sono adagiata ad essere. Un gruppo di ragazzine grasse alla fermata della metro è tutto ciò di cui mi hanno insegnato ad avere paura: una vita priva di controllo. Hanno fuseaux e top colorati che lasciano spuntare la pancia, grossi orecchini di plastica. Ragazzi le abbracciano e le baciano amorevoli. Se si sentono in difetto di qualcosa, di certo non lo danno a vedere. Ridono di gusto. Io invece mi limito a sorridere. Un bel sorriso di porcellana con gli occhi azzurri, i capelli biondo grano. Una tela bianca, su cui gli addetti ai casting devono poter proiettare la loro merce per valutare se gli piace l’effetto finale. Non te lo chiedono neanche, non ti guardano nemmeno in faccia. Allungano solo la mano verso di te e aspettano che glielo consegni.
    Il book.
   Senza quello non esisti, non sei nemmeno lì. Vorrei bruciarlo e capire se la gente mi vede ancora, oppure se mi sono ridotta ad essere questo spettro magro vestito di bianco, evocato da un libro accuratamente patinato. A volte faccio un sogno ad occhi aperti. Tante ragazze stanno in fila su un nastro trasportatore, una accanto all’altra, guardando tutte verso di me senza espressione. Hanno tutte il mio aspetto. Il nastro le trasporta dentro questo cubicolo metallico dall’aria malsana, arrugginito, da cui provengono rumori sinistri. Commenti di addette ai casting troppo sgradevoli per prendere la forma di vere parole. Il nastro che esce dall’altra parte del cubicolo trasporta fuori ben poche ragazze, separate da larghi spazi vuoti asimmetrici, là dove prima c’erano altre come loro. Dove sono finite? Masticate, dilaniate da lamiere e sputate via? Fatte a pezzi da seghe circolari? Non faccio che andare da un casting all’altro dove vengo presa, guardata, messa da parte. Buona parte della mia vita la passo a chiedermi cosa c’è che non va in me. Cosa c’è che non va nelle altre, quando invece mettono da parte loro e prendono me. Torno a casa, apro il frigo, allungo la mano verso uno yogurt magro. Poi no, ci ripenso. Troppi grassi comunque e troppi carboidrati. I latticini poi rovinano la pelle. Voglio solo essere accettata. Voglio solo andare bene, finché tutti mi diranno che vado bene e tutto andrà bene. Mangio una carota cruda. Oggi ho preso un autobus, due metro, un aereo, un taxi e due treni. Per tutto il tempo mi sono sentita sollevata, in pace. L’unica cosa che ci si aspettava da me durante tutto questo tempo era che venissi portata da un posto all’altro, come un pacco postale. Mi sono seduta e mi sono lasciata trasportare dalla corrente. Solo in quei brevi lassi di tempo mi sono sentita tranquilla, adeguata e completa. Ho fatto quello che dovevo e nessuno era lì per giudicarmi. Un ragazzo mi ha fermato per la strada, il tipico montato con un bel fisico e occhiali da sole. Mi ha detto ciao, sei una modella? L’ho guardato in modo eloquente. Lui ha guardato il book che avevo in mano. Posso vedere le tue foto? Sono davanti a te, idiota, a cosa ti servono le foto? Solo perché sono una modella credi che l’intero mondo sia autorizzato a giudicarmi sulla base delle mie foto? Gli ho risposto un semplice no e me ne sono andata.

11 febbraio 2011

Le correzioni - Jonathan Franzen

“Le correzioni” è un romanzo sul tempo che passa e sull’ineluttabilità della vita. A volte abbiamo l’impressione di essere gli unici che stanno sprecando occasioni, che si stanno lasciando sfuggire gli anni migliori o che non arriveranno mai a raggiungere i propri obiettivi. Un diretto corollario di questo pensiero è credere che il resto del mondo ci riesca senza problemi. “Le correzioni” ha il pregio di farci capire come questo pensiero sia comune anche a coloro che non abbiamo mai incontrato, persone che come noi guardano le pagine del calendario staccarsi una dopo l’altra combattendo con l’ansia di non essere all’altezza, gravati dalla salute dei genitori e dalle preoccupazioni economiche. C’è chi ha una famiglia e vorrebbe fuggirne perché si sente incompreso, se solo non fosse per tutti quei sensi di colpa. Chi non ce l’ha e vorrebbe averla perché si sente inadeguato, ma teme che sia troppo tardi. La commozione e la partecipazione che si prova per i personaggi estremamente vividi di questo romanzo non è altro che un riflesso di come noi ci vediamo dall’esterno. Una lente che riesce a schermare l’indulgenza controproducente o l’eccessiva autocritica che spesso rivolgiamo contro noi stessi.

7 febbraio 2011

Damned - Il nuovo romanzo di Chuck Palahniuk

Finalmente ci siamo. Il 18 Ottobre uscirà negli Stati Uniti “Damned”, l’ultimo romanzo di Chuck Palahniuk. La copertina, stando al sito ufficiale di Palahniuk, dovrebbe essere quella americana, ma la possibilità di votare la propria preferenza sul sito stesso fa pensare che sia solo una bozza di prova per testare la reazione dei lettori. Stando alle poche anticipazioni date dall’autore durante un paio di interviste, “Damned” è la storia di una ragazzina di undici anni che si ritrova all’Inferno. Starà a lei scoprire perché si trova lì, come è morta, se e come è possibile creare una petizione per andare in Paradiso e nel frattempo farsi anche degli amici. Chiunque conosca lo stile crudo e dissacrante di Palahniuk non può che sfregarsi le zampette davanti ad una trama del genere, benché i suoi ultimi lavori (leggi: Gang Bang, Pigmeo e Senza Veli) siano stati un po’ deludenti o quantomeno scontati. “Gang Bang” sembrava scritto ad uso e consumo di quella fascia di suoi lettori aficionados dell’amore di Chuck per le situazioni spinte e scabrose in modo quasi decadente.

4 febbraio 2011

L'incubo di Hill House - Shirley Jackson

Uno dei più importanti romanzi di Shirley Jackson, se non “il” più importante. Capostipite del filone tanto letterario quanto cinematografico delle case stregate dal 1959 ad oggi. Ne è stato un buono specchio il film “Gli Invasati” di Robert Wise del 1963, seppur con sostanziali differenze, così come invece il remake “Haunting – Presenze” di Jan De Bont del 1999 ne è stato un inutile stravolgimento (che di buono aveva solo Catherine Zeta-Jones e le scenografie di Eugenio Zanetti). Molte persone, trovandosi per la prima volta con questo libro in mano, si sono sentite quasi truffate, gravate dall’aspettativa creata da quei recensori che da sempre ne parlano come di un capolavoro. Io stesso, leggendolo per la prima volta, ne sono rimasto deluso. Certo l’eleganza formale e contenutistica che lo contraddistingue da romanzi come “La Casa d’Inferno” di Richard Matheson, 1971, va a tutto discapito di colpi di scena efferati ed espliciti, che molti lettori ricercano proprio in questa letteratura di genere. Eppure il fascino sottile esercitato dalla Jackson mi ha convinto ad ulteriori letture che mi hanno aperto gli occhi.  

3 febbraio 2011

Follia - Patrick McGrath

Londra, manicomio criminale agli inizi del ventesimo secolo. Galeotto fu il pene eretto di Edgar Stark, premuto contro Stella Raphael durante il ballo annuale.  Lui è internato per uxoricidio e lei è la moglie del vice direttore, ma niente riesce a fermare la passione che si accende tra di loro, alimentata dall’inappetenza sessuale del di lei marito, troppo impegnato ad occuparsi dei suoi pazienti. Stella si lascia trascinare in una relazione clandestina che cresce d’intensità fino a travolgerla, portandola al rifiuto del suo ruolo di madre e moglie, rendendosi complice della fuga di un paziente che ai suoi occhi è perfettamente sano. La follia di Edgar si rivela però a Stella trasformando la loro relazione in un incubo. Braccata da un uomo che tuttavia non riesce a smettere di amare, le diventa chiaro di essere diventata il centro della sua ossessione artistica, come già anni prima la moglie che lui aveva fatto a pezzi. Ma fino a dove si può spingere il compromesso tra il bisogno di sentirsi vivi e la paura di essere uccisi?

1 febbraio 2011

La pubblicità del budino


Oggi alla televisione ho visto la pubblicità di un budino. Un’allegra famigliola composta da mamma, figlio, figlia e nonno. Il figlio ha preso cinque in matematica ed è affranto perché sua madre gli ha tolto internet. La figlia è incavolata perché la madre le impedisce di uscire con un ragazzaccio (“scapestrato”, lo definisce il nonno) che però a lei piace tanto. Spunta la mamma felice dalla soglia della cucina e intima ai figli di non rompere le balle al nonno, che propone di finire tutti in cucina a mangiare il budino. Ed è così che, incarogniti ma per qualche strana ragione tutti col sorriso stampato in faccia, finiscono a gustarsi questo trionfo di genuinità. Immagino cosa avrebbe detto un pubblicitario degli anni Sessanta valutando una proposta simile da parte del suo team creativo.