Saga è una
commedia solo in apparenza leggera sulla fiction televisiva, un romanzo che per
la sua attualità meriterebbe una riedizione immediata. Edito nel 1997, ad oggi risulta
fuori catalogo ed è possibile reperirlo con un po’ di fortuna solo su internet.
La vicenda prende le mosse da un antefatto semplice: quattro sceneggiatori
sull’orlo della disoccupazione vengono riuniti e messi sotto contratto per
scrivere una fiction da trasmettere in piena notte, in una fascia di ascolto
prossimo allo zero. L’operazione avrà il solo scopo di sopperire ad una quota
di produzione nazionale, senza nessun reale interesse di guadagno, per cui gli
sceneggiatori potranno sviluppare la storia in qualunque modo vogliano e senza
nessun vincolo, se non quello legato ai costi produttivi: data una decina di
personaggi e pochi ambienti fissi in interno, dovranno scrivere una stagione di
ottanta puntate.
E’ così che la spalla di un grande maestro del cinema, una
scrittrice di romanzi d’amore, uno studente di sceneggiatura e l’ideatore di un
colossal cinematografico derubato dei diritti della sua opera cominciano a
passare le loro giornate gomito a gomito, ponendo le basi per sviluppare il
loro progetto di lunga serialità, dal nome Saga.
Armati di computer e tv, un conto aperto alla pizzeria all’angolo e un piccolo
ufficio, danno vita ad un telefilm che per la sua originalità ed eterogeneità
di contenuti comincia a diventare sempre più visto ed apprezzato, fino ad
arrivare in prima serata. Nel momento in cui il telefilm diventa un caso
nazionale - cominciando a smuovere non solo le sorti televisive ma anche l’economia
del paese, nonché le mire politiche di chi vorrebbe utilizzarlo per
strumentalizzare le masse - gli sceneggiatori si trovano a fare i conti con i
propri problemi personali, ma allo stesso tempo anche con le logiche del
mercato produttivo televisivo. Nonostante il parossismo di alcuni sviluppi
narrativi il romanzo è intelligente, soprattutto quando entra nell’analisi
dell’effetto di assuefazione che la serialità televisiva produce sui suoi spettatori.
Peccato per il finale poco brillante, ma questo non toglie valore ad un’ opera
in grado di parlare di una materia affascinante con un linguaggio accessibile a
tutti e di porre domande fondamentali: che valore diamo a quello che vediamo in
televisione? E quanto le cose che guardiamo influenzano il nostro comportamento
e il nostro umore, incidendo sulle nostre vite?
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