No-End House è la seconda
stagione di Channel Zero, la serie antologica horror e mistery di Nick
Antosca, che prende ispirazione dai racconti creepypasta. Questa stagione sviluppa il racconto della Casa Senza
Fine, una sorta di gigantesca installazione artistica che ‘appare’ in giro per
il mondo anticipata da segnali e indizi sulla sua ubicazione diffusi da canali TV
e social network. Chi trova l’indirizzo e ha il coraggio di entrare si troverà
a fare i conti con sei stanze, una più spaventosa dell’altra e sempre più
disturbanti, tanto che quasi nessuno riesce ad arrivare in fondo al percorso.
Mentre quelli che ce la fanno si dice che spariscano per sempre. Ogni persona
che invece abbandona la casa prima di arrivare in fondo descrive le stanze in
modo diverso. Pare che sia per le immagini subliminali o per qualche droga che
diffondono nell'aria. O per qualche altro motivo. Per questo quando un gruppo
di amici trova la famosa casa non può fare a meno di andare a visitarla di
persona. Quello che non immaginano è che la casa fa davvero paura e le stanze
sono davvero disturbanti e sempre più terrificanti, ma non nel modo che credono
loro.
Come la precedente stagione, No-End
House si compone di sei episodi, sei come le stanze da attraversare,
sei come il numero civico della casa a cui ognuno degli sfortunati visitatori fa
ritorno dopo essere andati a visitare la Casa Senza Fine. Un cast di attori
giovani e brillanti, una produzione di tutto rispetto, graficamente e
musicalmente accattivante che ha tutto il fascino di una vera installazione
artistica, non solo per l’allestimento della Casa Senza Fine in sé, ma per
l’intero impianto scenografico degli episodi, dell’ambiente pulito e asettico del tipico sobborgo americano che diventa la vera e propria arena dove i protagonisti devono sfuggire alle spaventose manifestazioni della casa. Niente di preciso della trama può essere svelato, ma la
serie è una fucina di trovate geniali, colpi di scena e spunti che spingono a
cercare di indovinare gli sviluppi possibili. Il fatto che la casa venga vista
da ognuno dei protagonisti in modo diverso in base alle loro paura e ai loro
ricordi è un motore narrativo fortissimo, che spinge a guardare sempre
l’episodio successivo per scoprire come alcune stanze siano state viste da
qualcuno piuttosto che da qualcun altro e per quale motivo. In che modo una casa riesce a fare tutto questo? Provoca
una sorta di allucinazione collettiva? Distorce le percezioni? Induce uno stato
di trance? Il pericolo è solo illusorio oppure reale? Visitando la casa si
intuisce come ciò che fa davvero paura non siano gli incubi. Come scoprono
i protagonisti, le paure e le angosce più profonde pescano a piene mani da situazioni
irrisolte del passato, ferite dell’anima e perdita delle persone amate. Traumi
rimossi, incomprensione, abbandono, questi sono i sentimenti a cui le stanze
hanno il potere di dare forma per intrappolare i loro ospiti e farli piombare
in un incubo ad occhi aperti, da cui rischiano di non risvegliarsi.
La Casa
Senza Fine, interamente dipinta di nero dalle fondamenta al tetto, inclusi
vetri, porte e finestre, si configura come una vera e propria opera artistica con
tanto di targhetta in fianco alla porta d’ingresso, visibile fin dal primo
episodio a chiunque varchi la sua soglia, che identifica le sue componenti: Wood, Nails, Copper, Chaulk, You (Legno,
Chiodi, Rame, Stucco, Tu). Una scritta in pittura rossa sulla porta della prima
stanza avverte: Beware the Cannibals
(Attenzione ai Cannibali). La prima stanza ti mostra qualcosa di incredibile,
che pure è davanti ai tuoi occhi. Nella seconda senti qualcosa che solo tu
potevi sapere. Nella terza vivi da sveglio il peggiore dei tuoi incubi. Nella
quarta scopri la tua paura più profonda. Nella quinta la vivi. E nella
sesta…chi può dire cosa ci sia, quanto sia grande e dove finisca? Nessuno che
ci sia stato è mai tornato per raccontarlo.
L’aspetto più interessante, una
volta capito il meccanismo, arriva inevitabile dopo aver guardato la serie, quando
ci si chiede cosa ognuno di noi vedrebbe se entrasse nella casa. Quasi meglio
di una seduta dall’analista.
Se una canzone dovesse ronzare in
testa dopo aver guardato il primo episodio della serie, potrebbe trattarsi di The Ghost That Never Walked, 1904, di
Bill Murray.
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